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Emanuele Svetti

Intervista a Emanuele Svetti: abbasso l’EGOsostenibilità

Progettare significa guardarsi dentro, mettersi in discussione, non essere autoreferenziali. Cercare di realizzare i sogni creando esclusività.

Ristorante Umami a Cortona

«Le interpretazioni sono fondamentali, perché se parti basso arrivi sottoterra, se parti alto devi solo stare attento a non fare la fine di Icaro. E bruciarsi le ali, nella fase propositiva di un progetto, significa farsi illusione di creare il sogno della persona che ti sei trovato davanti». Questa è una delle tante frasi che mi hanno colpito durante la lunga intervista all’architetto Emanuele Svetti dello Studio Svetti. Il suo accento toscano enfatizza ancora di più i suoi concetti, detti con schiettezza, senza fronzoli o giri di parole. Tutti di una profondità che spinge a riflettere. Ecco qui cosa ci ha raccontato del suo lavoro e della sua visione.

Emanuele, che architetto sei?
A me piace cercare di non annoiare le persone, provare a non essere banale e autocelebrativo. Scavo spesso su me stesso, per scoprire quelle che per altri possono essere fragilità: un progetto non realizzato è una fragilità; tuttavia, c’è una sorta di fascino anche nel non realizzato, perché credo che in esso ci possa essere l’essenza del realizzabile. Fondamentale rimane comunque non fermarsi davanti alla banalità, ma osare e pensare sempre oltre.


Cosa significa per te essere architetto oggi?
Oggi più che mai Il lavoro dell’architetto è un lavoro di introspezione, davanti hai sempre persone, specialmente quando si lavora con soggetti privati, importante diventa leggerne e comprenderne anche le minime sfumature, nel residenziale come nel retail o nella ristorazione. La componente umana è al primo posto. Essere architetto significa lavorare per togliere paure, per rendere chiaro anche l’angolo più oscuro di un progetto. Per esempio, la paura più comune nel privato residenziale è quella di fare qualcosa per sempre. Ma il “per sempre” oggi è un concetto
obsoleto. Niente è per sempre, tutti abbiamo a disposizione un bene fondamentale: il tempo. Quel tempo che si impiega per fare ad esempio una casa oggi, che in realtà va impiegato con la consapevolezza che raramente tornerà indietro a livello economico, ma se si riesce a ottimizzare il tempo di realizzazione allora se ne potrà avere un beneficio nell’utilizzo. A volte, però, significa anche togliere delle paure proprie. Per me ad esempio la paura del foglio bianco,
che ho fatto diventare più volte un mio biglietto da visita, fino al punto che mi avevano soprannominato “l’architetto del bianco e del nero”. Oggi interpreto il foglio bianco come uno spazio da riempire. Concettualmente fa capo anche al mio modo di interpretare l’architettura, non a caso a me piace realizzare contenitori neutri, che possano ospitare oggetti in grado di essere intercambiati e dare quel colpo di colore e di calore all’ambiente stesso. Il calore non è dato da un colore specifico, sono un cultore del fatto che ambienti dai tagli minimal e dalle tinte pastello possano essere mille volte più caldi di ambienti sovraccarichi di colore. Il focus deve essere creare ambienti che diano comfort.

Ristorante Umami a Cortona

Hai citato il comfort. A tal proposito cosa pensi sia prioritario nel progettare interni? La funzionalità, la
fruibilità, l’estetica, il comfort?

Se ragiono a livello di meccanismo mentale, che metto in funzione ogni volta che intraprendo un nuovo progetto, rispondo l’estetica, perché per mia indole sono un esteta. Chiaro che poi tutti questi fattori vanno a intersecarsi in maniera da creare l’insieme del progetto. Quindi parto dalla fase estetica, per poi andare a quella funzionale, e tra estetica e funzionalità incontro il comfort, altrimenti si rischia di generare progetti autocelebrativi, che non fanno
parte del mio concetto di architettura. L’errore che fanno tanti miei colleghi è pensare a un progetto in via prettamente estetica, una sorta di autocelebrazione, e la funzionalità così viene cancellata.


Secondo te è l’architetto che influenza il mercato dei materiali o viceversa?
Il bravo architetto sì, che non vuole dire l’architetto di fama. Secondo me gli architetti condizionano in maniera pesante la produzione e le decisioni delle aziende. Poi ovviamente ci sono anche molti architetti, che sono anche la fascia più ampia, che subiscono le scelte. Ma le selezioni, a monte, sono sempre condizionate da chi propone determinate soluzioni prima degli altri.

Un Diavolo per Capello, un negozio di parrucchiere che ricorda una galleria d’arte.

Quindi secondo te nel mondo delle superfici, uno dei settori dove c’è più ricerca, sono le esigenze degli architetti che portano a nuove finiture e a nuovi materiali?
Assolutamente sì. Basti pensare alla ceramica, alle carte da parati, alle resine, alle finiture murali e via dicendo. Sempre più spesso le grandi aziende fanno riferimento a studi di architettura per le nuove collezioni, studi che portano il loro modo di ragionare nei prodotti. Oggi tutto il mercato medio-alto è condizionato dai trend che poi gli architetti, nell’utilizzo e nella proposta ai propri clienti, trasmettono anche al grande pubblico.


I materiali in che direzioni si evolveranno, a tuo avviso?
Se dovessimo andare avanti con ipotesi di ambienti rarefatti, fatti di non materia, come abbiamo iniziato a realizzare con il Metaverso, chiaramente tutto cambierebbe: ambienti che richiedono sì finiture, ma che in realtà non saranno mai materiali. Molte aziende stanno iniziando a riversarsi su questo mercato perché intuiscono possa creare un ulteriore indotto. Quindi un futuro futuristico lo vedrei con materiali smaterializzati, un futuro realistico e futuribile, lo vedo con materiali sempre più innovativi e che mettono in prima battuta la tanto millantata sostenibilità.

Quando progetti un nuovo interno che peso dai a pavimenti e pareti?
Come già detto, per me il tema delle superfici è fondamentale, perché sono gli elementi che formano la scatola. Non c’è un mio progetto senza che si parta anche da come viene rifinito il contenitore. Fa parte dell’ambito estetico, la prima fase, che si unisce poi a quella funzionale. E quindi si va a cercare quel tipo di superficie per quello specifico utilizzo. Chiaramente se sto lavorando all’interno di un hotel avrò dei paletti, in un ufficio altri, in una clinica altri
ancora. In ambito residenziale sarò, invece, un po’ più aperto perché meno limitato.


Quindi non hai pregiudizi sui materiali?
Sui materiali, no, sulla finitura dei materiali sì. In genere, ripudio il falso estremo.

Emanuele Svetti
Osteria Moderna ad Arezzo

Per scoprire di più su Emanuele Svetti, vai alle pagg. 10-11-12 del nostro magazine.

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